Testata per la stampa

Le Origini

Villa marittima del Mutteron dei Frati
 
Villa marittima del Mutteron dei Frati
 
Villa Biaggini-Ivancich
 
Bibione Pineda (Baseleghe) - Frammento di bolla ducale
 
Reperti archeologici - Fondo di coppa in ceramica XIV secolo d.C.
 
Reperti archeologici - Fondo di coppa in ceramica XV secolo d.C.
 
IV Bacino, coppa Tipo Sarus

Un aiuto nel tentativo di ricostruire l'ambiente antico del nostro territorio da un punto di vista geomorfologico ci può venire dalla lettura della situazione attuale delle coste venete e friulane: un litorale basso e sabbioso, movimentato da ampie insenature e vaste aree depresse, paludes, che favorirono anche in antico una navigazione sicura e riparata, numerosi approdi e dove l'alternarsi delle maree garantiva una incredibilis salubritas ( Vitruvio, de arch., I,4,11-12) salubritas che contraddistingueva l'ambiente naturale delle Gallicae paludes…quae circum Altinum, Ravennam, Aquileiam…Anche Strabone è particolarmente colpito dall'ambiente naturale del litorale altoadriatico: Di fatto tutta la regione è ricca di corsi d'acqua e di paludi, soprattutto quella abitata dai Veneti, che è anche interessata dalle variazioni delle maree….durante l'alta marea essa riceve una parte non piccola del mare; così, portato via dal mare e dal fiume tutto lo sporco l'aria, prima insalubre, si purifica….e certo quest'aria non dannosa che si ritrova in mezzo alle paludi è cosa che desta meraviglia, come ad Alessandria d'Egitto..(V,1,5,212). Infine Livio, che indubbiamente conosceva bene (era patavino) il tenue praetentum litus, descrive con realismo questi luoghi, ricordando che oltre quel litus vi erano specchi d'acqua alimentati dalle maree, e, poco distanti, campi coltivati, mentre sullo sfondo vi erano rilievi collinari (Livio, X, 2,5).

Sono riferimenti questi che ci riportano indubbiamente a questi luoghi, che riconosciamo come nostri; dossi e isole, aree barenicole e paludose ma anche specchi d'acqua più ampi e numerosi canali, e, più ancora, al nostro litorale. Ed è tra i cordoni e le dune della fascia litoranea della decima regio dell'attuale Bibione il luogo dove i ricchi mercanti concordiesi vennero a godersi la bellezza del mare ondoso che si acquieta, assumendo il calmo aspetto delle acque di una laguna (Cassiodoro, Var. XII,22). Una testimonianza delle ricche frequentazioni della zona è giunta fino a noi nella villa maritima di età romana del "Mutteron dei Frati" dove è stata messa in luce una serie di ambienti, collegati tra loro da un corridoio pavimentato con un tassellato di mosaico bianco con fascia perimetrale costituita da due righe di tessere nere. L'ampliamento dello scavo eseguito nel 1993 ha messo inoltre in evidenza la presenza, anche in stretta contiguità, di ambienti eleganti con pavimenti in mosaico decorato a motivi geometrici, raffinate pitture parietali, ampie soglie marmoree e vani puramente funzionali, pavimentati con cocciopesto semplice. Non è facile dire se questi ultimi risalgano a volte a fasi anteriori dell'abitazione, dato che sono caratterizzati da notevole resistenza all'usura sia da lunga applicazione, al di fuori dal succedersi delle mode. Questa compresenza nell'edificio denuncia la diversa valutazione qualitativa delle funzioni esplicate all'interno dell'abitazione: quelle residenziali e di rappresentanza da una parte, quelle legate al lavoro domestico dall'altra. Si evidenzia quindi la convivenza di due ceti sociali all'interno dell'abitazione, ripetendo nella villa marittima quell'articolazione tra settore padronale e settore servile che è molto più conosciuta e certo evidente nelle ville rustiche. Una stranezza si può rilevare dalla diversa dimensione, nell'ambito degli ambienti padronali, tra i vani di rappresentanza e quelli privati. Infatti è evidente l'importanza dimensionale e decorativa assegnata al vano di rappresentanza in questa abitazione, sicuramente da ritenersi appartenente ad un personaggio di ceto medio alto, dove le funzioni sociali si svolgevano in un complesso sistema di ambienti di ricevimento e di soggiorno; l'eleganza e le grandi dimensioni di questi ambienti sembrano compensare la funzione di rappresentanza del peristilio, non ancora individuato. Che queste costruzioni marittime fossero esclusivamente di tipo "turistico" si può facilmente dedurre dalla mancanza totale di elementi indiziari di impianti di riscaldamento, intercapedini o tubuli parietali.

 
 

Nel settore orientale della nostra regione lungo le direttrici costiere ritroviamo queste residenze (non meno di tre nella sola Bibione) ricchi e improduttivi divertimenti per opulenti oziosi ( Varrone, de re rustica, 3, 17) di tale bellezza che ispirarono anche il poeta Marziale: aemula Baianis Altini litora villis. (le ville del litorale di Altino emulano quelle di Baia). E quando sfogliamo la lettera che Plinio il Giovane scriveva dalla sua villa maritima sul Laurentino non possiamo non riconoscere la stessa atmosfera di Bibione: la villa è grande e comoda, né di costosa manutenzione. L'ingresso dà su un atrio semplice ma pure decoroso. Segue poi un porticato…..che cinge un piccolo ma leggiadro cortile. E' un eccellente rifugio contro il maltempo, perché è munito di vetrate e, ancor più, difeso dalle sporgenze dei tetti. Di fronte al centro del portico si apre un piacevolissimo cavedio, poi un triclinio abbastanza bello che si avanza sulla spiaggia, e, quando il mare è spinto dall'Africo (lo scirocco) è lievemente lambito da flutti ormai remoti e morenti. …la riviera è popolata, con bellissima varietà or continua or interrotta, di ville, le quali, o che si vada per mare o che si cammini lungo il lido, presentano l'aspetto che hanno molte città….(Plinio il Giovane, lettere, libro 2,17)Una forte attrattiva per il nostro litorale era anche una fonte di acqua termale.

Numerosi sono stati, infatti, i ritrovamenti, nell'area del IV° Bacino di bonifica di frammenti ceramici a pareti sottilissime non verniciate, decorate con applicazione di gocce in rilievo (foglie d'acqua), riconducibili a coppe, coppette, bicchieri, che sono documentate in ben 42 esemplari: questo dato è da ritenersi assolutamente anomalo dai confronti con i materiali di siti analoghi e coevi (il I sec. d.C., momento particolarmente favorevole per tutta l'area). Sono prodotte da officine del vasaio aquileiese Clemens, le Sariusschalen (coppe tipo Sarius) presenti nel nostro territorio in ben tre esemplari, di cui uno di forma Magdalensberg 2 che trova un confronto puntuale a Torre di Pordenone. Altra ceramica di pregio, la Terra sigillata, sia aretina che norditalica è presente nel sito in forme lisce e decorate in attestano 43 esemplari diversi. Questa indagine preliminare sulle tipologie presenti nel sito, evidenzia una situazione che non trova confronti; le ceramiche di pregio sopravanzano quantitativamente le forme comuni, ed è un dato che non si ripete in nessun altro contesto. La frequentazione della fonte si protrae, con ogni probabilità in modo estremamente saltuario, fino al V-VI sec. d.C., datazione ricavata dallo studio dei materiali più tardi, di origine africana. Questi dati, associati alla situazione paleoambientale (il sito insiste in una lente di sabbia finissima isolata in un contesto di terreno agricolo di medio impasto), nonché la vicinanza (meno di 100 metri) dal pozzo di estrazione di acque termali delle Terme di Bibione, permette di formulare l’ipotesi affascinante già formulata: uno sfruttamento di acque termali già in età romana, con il consueto rituale del getto nella fonte della coppa o bicchiere.

 

Segue un periodo scarsamente documentato, tra la fine del VI° sec. d.C. (abbandono della fonte termale) ed il successivo insediamento umano: il punto di dogana veneziano di Baseleghe, con fasi iniziali documentate a partire dal XII sec.d.C. il cui ritrovamento, è dovuto, innanzitutto, allo studio della cartografia locale unitamente alla ricerca d’archivio. La cartografia antica evidenzia infatti, in prossimità della foce del canale Lugugnana, un gruppo di costruzioni tra cui spicca una chiesetta, ora chiamata "S.Maria di Baseleghe" oppure talvolta "S.Maria della Lighignana", quello che restava, nel cinquecento, del primitivo sito doganale veneziano, in piena attività tra il XIII ed il XIV secolo.

In alcune successive prospezioni in situ venivano rinvenute, sconvolte dal moto ondoso, le strutture superstiti di due edifici, posti alla foce del Canale Lugugnana, frammiste a centinaia di frammenti ceramici associabili, per confronti, alla tipologia delle ceramiche invetriate veneziane, vetri, ceramiche graffite, acrome, una grande quantità di chiodi ormai completamente incrostati ed alcune monete, ancora in fase di studio; di grandissimo interesse un frammento in piombo di una bolla ducale. A testimonianza del transito dei pellegrini reduci dalla terrasanta verso i paesi di origine, è il ritrovamento, quantitativamente esiguo ma storicamente di grande interesse, di alcuni frammenti di ceramica assolutamente fuori contesto, tra cui, rarissimo, un fondo di ciotola in maiolica arcaica, prodotta nel XIV secolo nell’area tarantina, che è a tutt’oggi l’unico esemplare rinvenuto al di fuori della laguna di Venezia. Una attestazione dei traffici commerciali da Venezia (e quindi dall'area bizantina) verso i territori soggetti al Patriarcato di Aquileia ci viene fornita dai materiali ceramici estremamente rari rinvenuti nel sito: Zeuxippus Ware (1 frammento di piatto, XIII secolo) Corinto ware (10 frammenti di ciotola) Maiolica arcaica (XIII secolo, 20 frammenti) Islamica (piatto, 1 frammento) nonché i già citati oltre 200 frammenti di invetriata tipo "Campalto". Il sito è nato in funzione al posto daziale veneziano, dotato di regolare guarnigione (un capitano e alcune guardie); scaduta questa funzione con ogni probabilità si è ridotto a semplice borgata di pescatori, fin quando, per la combinazione bradisismo-innalzamento del livello del mare, con ingressione di acqua marina nei terreni e nelle abitazioni, è stato abbandonato, lasciando straordinarie (e ben evidenti) tracce della sua presenza.

San Michele come toponimo si riscontra nel XIV secolo: si tratta di un contratto di compravendita stipulato nel 1357. Lo si riscontra negli annali del Di Manzano laddove, per l’appunto, si attesta che “con istrumento di detto anno Giovanni Susan di Peuscheldorf trasferisce a Mainardo, conte di Gorizia le ville di Latisana, San Mauro, Volta e San Michele...”.Durante i quasi quattro secoli della dominazione della Serenissima (1420-1797) San Michele faceva parte della “Terra della Tisana” e di conseguenza , della “Patria del Friuli”, mentre la curazia dipendeva dalla limitrofa antica Pieve di San Giorgio che aveva giurisdizione anche su alcune altre chiese minori di paesi limitrofi. In detto periodo tutta la “Terra della Tisana” divenne proprietà dei nobili veneziani e delle loro casate: Morosini, Mocenigo, Emo, Vendramin, Venier, Grimani, Minio, Loredan, Zovan, Molin, Bragadin ed altri. Nelle frazioni del territorio si costituirono “le comuni o ville” e ciascheduna era governata da un podestà dipendente dal capitano che risiedeva a Latisana e che reggeva la comunità in nome dei giurisdicenti. In tutti i borghi si tenevano poi le “vicìnie” o “vicinanze”, convocazioni di carattere popolare e rurale per trattare i peculiari interessi concernenti la collettività.