Nell’area verde nei pressi del ponte sul fiume Tagliamento, nel capoluogo comunale, è presente un bunker della Guerra Fredda.
LA FORTIFICAZIONE AL TEMPO DELLA GUERRA FREDDA
Nell’aprile 1949 l’Italia aderì al Patto Atlantico e di conseguenza si pensò di ripristinare le fortificazioni poste su tre linee difensive: il confine iugoslavo, il fiume Isonzo e il Tagliamento. Si procedette alla realizzazione di “fortificazioni permanenti”, in precedenza vietate dal Trattato di Pace del 1947.
A partire dal 1950 furono costruite le postazioni di piccolo entità, sparse sul territorio, dislocate su vari ordini e adeguate alle nuove esigenze tattiche a difesa degli obbiettivi sensibili. Furono pensate come un complesso stabilmente organizzato di postazioni blindate con un elevato potere d’arresto ed unico comando. Infatti, erano generalmente costituite da un posto comando con osservatorio (PCO), un complesso di postazioni armate con mitragliatrici (M) e postazioni cannone controcarro (P). Il “posto comando ed osservazione” dirigeva la difesa ed era collegato ad un sistema a “ponte radio”.
LA COMPAGNIA FANTERIA D’ARRESTO
L’unità destinata a presidiare l’opera era la “compagnia d’arresto”, composta da un comandante, un plotone comando e servizi, costituita da due squadre, un plotone presidio opera, uno difesa vicina ed un medico. La fortificazione doveva fronteggiare la difesa da truppe motorizzate, corrazzate, aviotrasportate e nuclei sabotatori; in un secondo momento si prevedeva l’avanzata della fanteria meccanica sostenuta da reparti corazzati. Grazie all’interramento, si riduceva considerevolmente la vulnerabilità del personale anche in caso di esplosioni nucleari. Nel tempo la “fortificazione permanente” divenne sempre più vulnerabile per l’aumentata precisione delle armi e per la necessità strategica di maggiore mobilità. La caduta del “Muro di Berlino” e la dissoluzione del Patto di Varsavia fecero venir meno presupposti che l’avevano generata. A partire dal 1991, vennero progressivamente sciolti i reparti d’arresto e le Opere disarmate e dismesse.
L’OPERA A DIFESA DEI PONTI SUL FIUME TAGLIAMENTO
“L’opera di fortificazione sistemata sugli argini del fiume Tagliamento”, nel comune di San Michele al Tagliamento, è stata realizzata, alla fine degli anni 60, a difesa del ponte sulla SS 14 e della linea ferroviaria Venezia-Trieste.
Particolarità, è l’unica opera della fanteria d’arresto che si trova della regione Veneto, nonché la più meridionale fra di esse. La linea di difesa si estendeva a nord e a sud dell’argine destro del fiume Tagliamento. L’opera presentava, nella configurazione finale, sei postazioni per mitragliatrice in torretta a quattro feritoie, due postazioni a/c per carro in vasca ed un posto comando-osservazione.
PONTE RADIO
Le postazioni costituenti l‘opera erano collegate al PCO mediante sistema diantenne a “ponte radio”.
IMPIANTO ELETTRICO
Nei manufatti (PCO) e (M) era presente un “impianto elettrico di illuminazione alimentazione apparecchiature” realizzato mediante due distinti circuiti incavo isolati e sostenuti da graffette a muro.
IMPIANTO ANTI-CO
In ogni postazione funzionava un impianto standard anticontaminazione, costituito da una tubazione in ferro zincato parzialmente incorporato nel cls che dallocale polmone per le prese d’aria portava al ventilatore, da questo alricovero e alla camera di combattimento/osservazione. L’elettroventilatore poteva funzionare anche a mano e l’impianto era completato da un complesso filtrante.
IMPIANTO FILTRO PRESSURIZZAZIONE
Nel manufatto PCO, inoltre, operava un impianto di filtro pressurizzazione che dal locale polmone prendeva aria e la portava al complesso filtrante e da questo alventilatore, nonché al ricovero e all’osservatorio.
ARIA E OSSERVATORI
La sala operativa di comando era fornita di un sistema di pompe e filtri: per tutelarsi dalle contaminazioni esterne.
La struttura adotta un “differenziale di pressione positivo tra interno ed esterno”, che garantisce un continuo, irreversibile, flusso d’aria uscente. Son presenti delle pompe centrifughe elettriche, azionabili anche a mano e l’aria tramite una serie di filtri veniva dirottata ai locali.
PRESIDIO DELL’OPERA
L’opera era presidiata da personale di guardia dislocato all’interno. Faceva parte inoltre un Plotone presidio Opera, costituito da un comandante, una squadra cannonieri, una mitraglieri con tanti gruppi di fuoco quant’erano le postazioni dell’opera. Con la “caduta del muro di Berlino” e la rivisitazione degli schemi difensivi NATO, l’opera venne conseguentemente dismessa nel 1992.
IL POSTO COMANDO - OSSERVAZIONE
Tutte le informazioni e notizie, da e per l’opera e tutte le informazioni delle postazioni che fungevano anch’esse da punti di osservazione, giungevano al P.C.O. concorrendo a delineare il momento operativo. Da qui al coordinamento di fuoco di tutte le armi in dotazione e le operazioni di difesa vicina. La stanza del P.C. era il fulcro di tutta l’organizzazione. Vi si trovava il Comandante di Compagnia, il Comandante di “plotone presidio opera”, l’addetto situazioni operative, radiofonisti, radiotelegrafisti e scritturali. I collegamenti a filo facevano capo ai “centralini campali S822B”. La potenzialità dei centralini permetteva di approntare altri collegamenti a filo, mediante cavo volante,con le forze non direttamente collegate. Il posto comando era dotato di luci di emergenza a lampada a petrolio e di una riserva di acqua potabile e razioni di viveri da combattimento per cinque giorni. Le dotazioni di munizioni per le armi individuali, di reparto per la difesa vicina erano calcolate per cinque giorni di combattimento.
INGRESSO E LOGISTICA
All’ingresso, protetto da una porta in acciaio “antischegge”, troviamo il locale per labonifica dagli agenti NBC, docce, vestibolo, il deposito carburanti, il locale gruppi elettrogeni ed un annesso vano per le batterie ed accumulatori. I locali erano perfettamente illuminati, grazie a due gruppi elettrogeni indipendenti che formavano energia elettrica a 24 volt. Qui trova spazio il locale pompe e filtri per tutelarsi dalle contaminazioni esterne e garantire il ricambio d’aria agli osservatori ed alla camerata.
LOCALE SERVIZI
Dopo attraversato una porta a “tenuta stagna”, troviamo un locale servizi per viveri e medicinali, un wc, un deposito munizioni, postazioni d’armi leggere e ripostigli.
IL COMANDO DELL’OPERA D’ARRESTO
Protetto da una porta blindata con feritoia per il posizionamento del fucile, troviamo la “sala comando”, dotata di tavolini e panche in metallo richiudibili e sgabelli per gli operatori radio. Tramite una scaletta in metallo, si accede alla “torretta osservatorio”, protetta da un elemento corazzato semicircolare in ghisa, mentre dallo stesso locale si accede ad una “camerata con 6 letti a castello” destinato al riposo del personale di turno. Inoltre, dal P.C., superando dei sistemi di sicurezza statici, si accede ad un' “uscita d’emergenza” collegata, tramite una scaletta in metallo, ad una botola esterna.
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Nell'area del bunker, fino alla Seconda Guerra Mondiale, sorgeva Villa Zuzzi.
La costruzione risale all’anno 1890, a cura dell’Architetto Raimondo D’Aronco di Udine vincitore del concorso per la decorazione della facciata della Prima esposizione italiana di architettura, dove viene esposto anche il progetto della Villa Zuzzi.
Nel 1941 la villa subì una sistemazione ad opera dell’architetto udinese Pietro Zanini, che negli anni Venti aveva lavorato nello studio di D’Aronco.
Durante la seconda guerra mondiale, la sua posizione tra il ponte carrabile e il ponte ferroviario, ritenuti obiettivi strategici dall’aviazione tedesca prima e americana poi, le costano la distruzione: Villa Zuzzi viene bombardata nell’attacco aereo del 19 maggio 1944 che mutila Latisana e rade al suolo San Michele al Tagliamento, oggi San Michele Vecchio. Nella notte del 24 dicembre 1944 cadono ulteriori 4 bombe sui ruderi della Villa, già più volte centrata dai bombardamenti che si susseguono fino al 30 aprile 1945.
Durante la ricostruzione nel dopoguerra, l’area su cui sorgeva Villa Zuzzi diventa marginale e cade in stato di abbandono. Le vicissitudine storiche, le vicende urbanistiche, la ricostruzione di San Michele Vecchio hanno comportato uno stravolgimento del sedime dove era collocato il compendio di Villa Zuzzi, tanto da risultare non più rintracciabile.
Di Villa Zuzzi oggi rimangono superstiti, del cancello di ingresso, una colonna eretta ed un lacerto di colonna sparso sul pendio della collinetta in terra vegetale formatasi durante i lavori di costruzione dei bunker della guerra fredda negli anni ‘ 60, non più collocate nel sedime originario. Si tratta di due manufatti in pietra naturale, listate a bugnato. Dal confronto con le immagini d’epoca le colonne risultano mancanti degli elementi decorativi posti a finitura superiore.
L'area esterna del bunker, che include anche dei pannelli informativi, è sempre visitabile essendo situata in un parco pubblico.
L'area interna, allestita con oggetti d'epoca, è invece visitabile nel corso della visita guidata gratuita all'itinerario storico-culturale "Le Guerre del '900".
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In località Lama del Revellino, sulla spiaggia di Bibione, alla fine degli anni ’50, sorse un’area addestrativa dell’Esercito Italiano; a tale scopo vennero edificati seimanufatti in cemento con campo di tiro rivolto verso il mare.
Fu scelta l’allora deserta e quasi inaccessibile fetta orientale della spiaggia di Bibione, in quanto il vicino Friuli e il Veneto in quel periodo si trovarono adospitare un elevato numero di caserme e l’alto e medio corso del Tagliamento vennero fortificati e presidiati stabilmente, essendoci il rischio di un attacco da parte della Jugoslavia e comunque del “Blocco Sovietico”.
Benché identiche nel funzionamento a quelle reali, essendo opere militari “Quadro” al solo scopo addestrativo (prive di casermette e posti di guardia, quindi non sorvegliate ed armate solo al momento dell’attivazione), i “fortini” di Bibione vennero costruiti utilizzando blocchi di cemento a spessore ridotto e non furono maidotati di opere di sbarramento, mascheramenti o fossati e di linee trincerate di collegamento per le armi leggere.
Le direzioni di tiro di tutte le opere erano rivolte verso il mare; durante l’addestramento i militari aprivano il fuoco dei cannoni e delle mitragliatrici pesanti in esse contenuti contro sagome di cartone e juta raffiguranti profili di carri armati e posizionate ad una distanza variabile dai 30 ai 100 metri di distanza. I bersagli potevano essere fissati su un carrello che veniva fatto correre lungo una rotaia parallela al bagnasciuga oppure piantati su una lingua di sabbia che emergeva in superficie.
Il poligono di Bibione è famoso in quanto il 25 febbraio 1959 all’interno di esso avvenne il primo lancio in Italia dei missili statunitensi “Honest John”, armi tattiche che vennero fornite agli eserciti della NATO (compreso quello italiano) dagli Stati Uniti.
In origine la distanza del mare dai manufatti era di almeno 80-100 metri; a partire dal 2006 l’acqua raggiunse le fondamenta delle opere minandone la stabilità e gli assetti, rovesciando le torrette e decretandone quindi la scomparsa.
Gli ultimi resti rimasti sono stati definitivamente rimossi nel 2009.
Elenco dei manufatti da est a ovest, riconoscibili dalle foto:
1.Postazione per torretta di carro armatoenucleata
2.Postazione di tipo A per mitragliatrice Bredacon blindatura
3.Postazione di tipo M per mitragliatrice Bredacon blindatura
4.Postazione di tipo P seminterrata per carro “invasca” (probabilmente nata per i carri armati Sherman)
5.Postazione di tipo P per cannone da 105/25
6.Postazione di tipo P per cannone da 90/50
Testo a cura del Gruppo Il Timènt
Foto del Geom. Claudio Del Sal